Il delitto di Arce

01.06.2001

Il Delitto di Arce è un caso di cronaca nera controverso per molti aspetti. I fatti avvennero lo 01/06/2001 e, oggi, dopo 17 anni, sono ancora avvolti nel mistero.

La vittima, Serena Mollicone (Arce FR 18/11/1982 - Arce FR 1/06/2001), frequentava il quinto anno del Liceo socio-psico-pedagogico "Vincenzo Gioberti" di Sora e suonava il clarinetto nella banda del paese.

Per conoscere meglio il caso, analizziamo fatti e circostanze, correlazioni e dinamiche che ruotano intorno alla vittima e al crimine commesso.


L'antefatto

II primi interrogativi importanti partono ben prima della morte della diciottenne e anche nelle ore immediatamente precedenti l'omicidio. 

Quella mattina di venerdì 1° giugno 2001, Serena si sarebbe recata da sola presso l'Ospedale di Isola del Liri (FR) per un'ortopanoramica. La visita sarebbe dovuta terminare intorno alle 09:30.

Secondo la ricostruzione dell'antefatto della morte, la ragazza si sarebbe poi fermata in una panetteria nelle vicinanze della stazione per acquistare quattro tranci di pizza e quattro cornetti. Si presume pertanto che dovesse incontrare delle persone. In seguito si prevede avesse preso l'autobus per Arce, paesino della Ciociaria dove viveva col padre e dove era attesa a casa per le 14:00 circa. L'ultimo presunto avvistamento di Serena si colloca proprio ad Arce, in piazza Umberto I.


Pare infatti che la diciottenne, nel pomeriggio, dovesse incontrare il fidanzato e completare la stesura della tesina da presentare all'esame di maturità. Uno scritto che però rimarrà incompiuto, e dietro il cui contenuto potrebbe nascondersi qualcosa di significativo.

Prima di analizzare il profilo personale e comportamentale di Serena, è importante capire il contesto famigliare e sociale in qui essa era inserita, partendo dalle correlazioni più elementari, immediate e (forse?) più superficiali.

La ragazza viveva col padre Guglielmo Mollicone, un insegnante elementare che gestiva inoltre una cartolibreria nel paese, dove Serena era solita dare una mano. La madre morì di una grave malattia quando lei aveva solo sei anni, lasciando il marito con due figlie: la maggiore, di 28 anni nel 2001, Consuelo, anch'essa insegnante elementare, trasferitasi a Como e, appunto, Serena, di una decina d'anni più piccola.

Era inoltre noto che la diciottenne frequentasse da pochi mesi un ragazzo, che le sue amiche definivano ormai come il fidanzato: Michele Fioretto, di 26 anni.


La scoperta del corpo

La misteriosa e improvvisa sparizione di Serena Mollicone da Arce risale al 1° giugno 2001. La scoperta del corpo senza vita della ragazza avvenne due giorni dopo, il 3 giugno.

Il cadavere fu ritrovato nel boschetto di Fronte Cupa ad Anitrella, frazione di Monte San Giovanni Campano, a 8 km da Arce, ad opera di una squadra della Protezione Civile che si trovò davanti a un epilogo raccapricciante: la ragazza era adagiata fra gli arbusti con un sacchetto di plastica attorno alla testa, polsi e caviglie legati con scotch e fil di ferro, una ferita vicino all'occhio e nastro adesivo sulla bocca. Secondo il referto dell'autopsia la morte era avvenuta per asfissia dopo una lunga agonia.


Le indagini

Ma ripercorriamo la storia sommaria delle indagini, per entrare nel vivo della vicenda, analizzando poi più a fondo anche fatti che viaggiano sul binario non parallelo ma forse tangenziale al delitto di Serena.

Nel settembre del 2002 la Procura di Cassino iscrive nel registro il primo indagato. Si tratta di Carmine Belli, un carrozziere di Rocca d'Arce che, secondo un biglietto, si sarebbe dovuto incontrare con la ragazza. La Cassazione lo proscioglierà in seguito da ogni accusa. Quando gli inquirenti ancora brancolano nel buio, nel 2008, dopo 7 anni dal delitto Mollicone, il Brigadiere dei Carabinieri di Arce, Santino Tuzi, viene trovato morto suicida nella sua Fiat Marea Week-End. Si sarebbe tolto la vita con la Beretta d'ordinanza. Si scoprì in seguito essere "persona informata sui fatti" attorno alle ultime ore di vita di Serena. Il suicidio suscita tuttavia molti dubbi per le sue dinamiche.

Nel 2014 gli esami del DNA su 272 persone, così come le analisi delle impronte digitali rinvenute sulla scena del crimine, danno esito negativo. 

L'anno seguente ci fu la richiesta al GIP di chiarire la sua posizione da parte dei tre indagati, accusati nel 2011 per omicidio volontario e occultamento di cadavere: il Maresciallo Mottola di Arce, la moglie e il figlio.


Il 22/03/2016 viene richiesta la riesumazione del cadavere di Serena da parte del GIP di Cassino, Angelo Valerio Lanna, che non archivia il caso. Verranno effettuati nuovi esami medico-legali presso il LABANOF Università degli Studi di Milano: l'anatomopatologa Cristina Cattaneo concluderà la seconda autopsia nel novembre del 2017, depositando una perizia di 250 pagine.

A fine 2016 Guglielmo Mollicone fa scalpore chiedendo l'effettuazione di rilievi nell'ex carcere di Arce: è convinto che il cadavere della figlia potesse essere stato nascosto lì. 

Il feretro della vittima viene nuovamente tumulato a Rocca d'Arce solo nel dicembre 2017. Circa mille persone partecipano al funerale.

Nel 2018 la perizia del RIS sulla salma di Serena e sul nastro adesivo con cui era stata legata e imbavagliata fa giungere a una possibile conclusione: l'omicidio sarebbe avvenuto presso la Caserma dei Carabinieri di Arce.



Misteri

Ora ci addentreremo in modo più profondo nelle dinamiche di questo caso controverso.

Il primo mistero riguarda sicuramente il ritrovamento del corpo, avvenuto il 3 giugno 2001: mentre i Carabinieri dicono di aver perlustrato la zona senza aver visto il cadavere, i volontari della Protezione Civile affermano di averlo trovato immediatamente.

Il corpo venne quindi deposto tra i due interventi?

Secondo gli investigatori la causa del decesso fu asfissia mediante un sacchetto di plastica in testa. Prima della morte, la ragazza fu tramortita con un colpo alla testa e trasportata nel bosco legata ma ancora viva. Non vennero osservati segni di violenza sessuale né di colluttazione.

Il secondo mistero riguarda il telefono cellulare della vittima. Serena Mollicone avrebbe dovuto averlo con sé come era solita fare, e invece viene ritrovato dal padre soltanto dopo il funerale, in un cassetto precedentemente controllato dai Carabinieri. A parte quelle di Guglielmo Mollicone, sull'apparecchio non vi erano impronte e, dopo una decina di giorni, nello stesso cassetto venne rinvenuta una piccola quantità di hashish.

La droga tuttavia non poteva appartenere a Serena, in quanto la diciottenne era contraria all'uso di stupefacenti al punto da farne una battaglia personale.

Era noto che nei paesi della zona vi fosse un fiorente narcotraffico gestito da ragazzi del luogo e da affiliati alla camorra.


Il primo arresto: assoluzione

Come già accennato, inizialmente fu arrestato il carrozziere Carmine Belli. Il suo alibi appariva contraddittorio, in quanto il Belli era in possesso di un tipo di nastro adesivo simile a quello in cui fu avvolta Serena. Ma soprattutto, nella sua officina fu ritrovata parte di un biglietto che pareva essere quello dell'appuntamento di Serena dal dentista.

Carmine Belli venne definitivamente assolto (dopo 17 mesi di carcere) in Primo Grado, Appello e Cassazione, in quanto le prove a carico della sua colpevolezza non reggevano.


Riapertura delle indagini: la morte del Brigadiere Tuzi e il legame con il caso Mollicone


Il Brigadiere dei Carabinieri venne trovato cadavere nella sua macchina, una Fiat Marea Week-End parcheggiata vicino alla Diga di Arce (in località Sant'Eleuterio), ucciso da un colpo di pistola al cuore, sparato con la sua Beretta d'ordinanza.

Il caso fu inizialmente archiviato come suicidio per motivi sentimentali.

Gli amici e la famiglia del Brigadiere non accettano però questa versione, negando in lui problemi tali da portarlo al suicidio. Secondo la figlia del Brigadiere, il padre "durante le indagini avrebbe assistito a qualcosa, saputo qualcosa, e gli sarebbe stato detto di non rivelare niente".

Fu richiesta quindi la riesumazione della salma.

A seguito di istanza di riapertura del fascicolo presentata da Rosangela Coluzzi, avvocato di Maria Tuzi, figlia del Brigadiere, il sostituto procuratore Alfredo Mattei (titolare dell'indagine), chiese sei mesi di proroga per le indagini della Procura di Cassino per istigazione al suicidio in relazione alla morte di Santino Tuzi.


Il primo mistero riguarda incongruenze e lacune nella dinamica della morte, anche visibili dalle 12 fotografie della scena del ritrovamento. La più evidente riguarda il fodero della Beretta d'ordinanza del Brigadiere, rinvenuto dietro il sedile dell'auto, ma che si sarebbe trovato invece nel suo armadietto, secondo quanto riportato dal verbale nell'istanza di archiviazione.


Questa morte sospetta fu collegata al caso Mollicone, perché si scopre che due giorni prima di morire, Tuzi dichiarava in Procura ai magistrati che aveva visto Serena entrare in caserma il 1/06/2001. Tuzi, alle 11:30, di guardia, rispondeva al citofono. L'autorizzazione a far entrare la ragazza arrivò dal Maresciallo Franco Mottola, che si trovava nell'appartamento privato del Comandante della Stazione Carabinieri di Arce.

Se la deposizione del Brigadiere Tuzi è vera, allora Serena Mollicone si trovava in caserma prima di sparire.

E sorgono quindi due importanti interrogativi. Innanzitutto, perché vuole parlare con il Maresciallo? Ma soprattutto: che cosa è successo dopo?

Il secondo mistero è un insieme di molti interrogativi sulla pistola. Pare infatti che non sia stata effettuata alcuna analisi dell'arma d'ordinanza relativamente al proiettile rinvenuto nell'autovettura.

Come si fa a dichiarare inoltre se quell'ogiva appartenesse effettivamente alla pistola di Tuzi?

E dopo essersi sparato al petto, come può il Brigadiere aver avuto la calma e la lucidità di adagiare la pistola sul sedile posteriore?

Sull'arma non furono rinvenute le impronte di Tuzi, ma soltanto un'impronta parziale e latente della mano sinistra. E Tuzi era destrorso.

La polvere da sparo fu trovata solo sulle sue mani però, il che non indica necessariamente un suicidio. Potrebbe anche indicare un tentativo di simulare il suicidio con colpi di pistola sparati a vuoto.

Ma soprattutto: il colpo che ha ucciso Tuzi è uno solo, e nella pistola ne mancano altri due.

Il luogo che lega a doppio filo le morti di Serena Mollicone e del Brigadiere Tuzi è uno: la Caserma dei Carabinieri di via Magni ad Arce. La Procura di Cassino aprì un fascicolo per omicidio volontario e occultamento di cadavere. L'indagine risulta ancora in piedi, e gli unici tre indagati per la morte di Serena ad oggi sono: l'ex Comandante, Maresciallo (oggi in congedo) Franco Mottola, la moglie Anna e il figlio Marco.

Il medico legale Cristina Cattaneo (anche anatomopatologa per l'omicidio di Yara Gambirasio) intendeva rendere noto nello specifico se la lesione di Serena alla fronte occipitale (la ferita alla tempia sinistra della diciottenne) fosse compatibile o meno con l'urto contro la porta rotta dell'alloggio interno alla caserma.

La colf dell'epoca spiegò in un verbale che la signora Mottola le chiese espressamente di pulire quell'appartamento con l'acido muriatico. Appartamento in cui "una ragazza del tutto somigliante a Serena Mollicone" sarebbe appunto entrata alle 11:30 del 1/06/2001 secondo le due audizioni del Brigadiere Tuzi (28/03/2008 e 09/04/2008). Almeno fino alle 14:00, ora in cui Tuzi staccava dal servizio. Il confronto tra il Brigadiere Tuzi e l'allora Maresciallo Mottola, disposto dagli inquirenti, non si svolgerà mai, in quanto Tuzi è morto prima.

Le dinamiche della sua morte sono avvolte nel mistero.


Quel giorno i Carabinieri effettuarono i rilievi nell'immediato, ma il medico legale intervenuto non ritenne di fare fotografie al cadavere: abbiamo infatti le fotografie del ritrovamento, ma non del corpo.

Quell'11 aprile 2008 il Brigadiere non era in servizio. Secondo la ricostruzione dell'antefatto al presunto suicidio, Tuzi era a casa nell'orto. Uscì all'improvviso dopo aver ricevuto una telefonata. Si recò in caserma, secondo quanto riferito dai colleghi "tranquillo e normale", per prendere pistola e bandoliera, in quanto il giorno seguente sarebbe dovuto andare in trasferta per via delle elezioni.

La ricostruzione dei fatti si arricchirebbe di presunti particolari forniti da un'altra testimone: l'ex amante di Tuzi. Il Brigadiere si sarebbe recato a casa della donna, avrebbe lasciato delle sigarette in una busta e delle rose senza farsi vedere, e si sarebbe allontanato. Dopo aver notato il tutto, la donna avrebbe telefonato a Tuzi, il quale le avrebbe detto: "Se non torniamo insieme mi uccido".

Lei sosteneva essere al telefono col Brigadiere e aver sentito lo sparo "in diretta". Ciò non esclude però la sua morte per altri motivi: ovvero per mano di terzi.

Sorge dunque un ulteriore mistero: dalle fotografie interne all'automobile, si nota un telefono sul sedile anteriore, al lato del passeggero. La posizione risulta anomala, perché era infilato tra i sedili, mentre lo sportello della macchina era aperto. Tuzi avrebbe dunque parlato con il vivavoce pochi secondi prima della morte? E, in caso contrario, se Tuzi avesse parlato al telefono mentre premeva il grilletto, avrebbe dovuto usare la mano sinistra, in quanto era destrorso.


Il padre di Serena Mollicone chiede analisi sull'ex carcere

Si sperava in una svolta nel caso Mollicone all'inizio del 2015, quando furono effettuate nuove indagini sui reperti: vennero esaminate con le più recenti tecniche investigative le buste di plastica che ricoprivano la testa della diciottenne. Venne inoltre interrogata una persona "informata dei fatti" ma in quel momento non indagata.

Un anno dopo, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Cassino, il GIP Angelo Valerio Lanna, dice di no all'archiviazione delle indagini, e viene proposta la riesumazione della salma.

Nell'ordinanza si legge che: "All'interno di uno degli alloggi di servizio della caserma fosse pacificamente presente una porta danneggiata da un violento urto."

Nel dicembre 2016 fa scalpore la richiesta di Guglielmo Mollicone, padre di Serena, di effettuare analisi sull'ex carcere di Arce. È convinto infatti che il corpo della figlia fosse stato occultato in quel luogo.


Verranno perciò effettuate nuove analisi sugli abiti di Serena.

Sul corpo sarebbero stati trovati dei licheni, che crescono in luoghi asciutti proprio come l'ex carcere, e non in luoghi umidi come il bosco in cui fu invece trovata.

Guglielmo Mollicone sostiene che la figlia possa essere stata portata dalla caserma al carcere in disuso e occultata lì dentro "o qualche ora o una notte intera".

Ma facciamo alcune precisazioni: l'ex carcere non è una struttura chiusa, bensì aperta, e chiunque poteva e può tutt'ora entrarvi.

La costruzione è inoltre ubicata dietro la caserma.

Inizialmente, secondo i referti autoptici, si stabilì che Serena Mollicone fosse morta nella notte tra venerdì e sabato 2 giugno. L'assassino avrebbe quindi tenuto il corpo nascosto per 24 ore, per poi abbandonarlo nel boschetto sabato notte.

Un mistero sorge qui da un'incongruenza eclatante: gli abiti asciutti sembrano confermare che la morte non sia avvenuta ad Anitrella, nel boschetto di Fronte Cupa: infatti nella notte di venerdì 1° giugno si era abbattuto un forte temporale...


La perizia dell'anatomopatologa

La 18enne Serena Mollicone sarebbe andata nella locale stazione dei Carabinieri per denunciare un traffico di stupefacenti. E fu appunto vista viva per l'ultima volta mentre entrava in caserma...

Secondo la perizia medico-legale di 250 pagine di Cristina Cattaneo, la ragazza è stata massacrata nella stazione, sbattuta contro il muro e infine soffocata con un sacchetto intorno alla testa e portata nel boschetto di Fronte Cupa, dove avvenne il ritrovamento. Serena per le botte perse i sensi, e il suo assassino ha creduto che fosse morta, ma così non era. E l'ha soffocata. La Cattaneo a tal proposito spiega nella sua relazione: "E' ragionevole pensare che prima di essere coperto dal sacchetto di plastica, il volto sia stato esposto per un periodo di tempo perché le mosche deponessero le uova". Inoltre la dottoressa ha scoperto che prima di essere colpita Serena si è difesa strenuamente. Sono emersi infatti ematomi risalenti a poco prima della morte. Un altro aspetto scioccante della perizia viene inoltre riservato al momento in cui Serena avrebbe sbattuto con violenza contro la porta dell'alloggio di servizio del Comandante. La ragazza ha riportato - oltre a un taglio sulla fronte sinistra - anche un trauma cranico e uno cervicale con la lesione del padiglione auricolare. "Lesioni contusive al ginocchio, al gluteo, al collo provocati da urti, colpi, afferramenti, cadute" secondo la perizia dell'anatomopatologa. La parte finale dello scritto viene riservato alle tracce di una miscela trovate sui calzini e sui pantaloni neri indossati dalla ragazza. Una polvere composta da lantanio, cerio e piombo. "Seppure la compresenza di cerio e lantanio può essere prodotta da oggetti correlati alla generazione di scintille, la rilevanza di queste tracce va valutata da parte di esperti del settore". La soluzione definitiva del giallo di Arce fu dunque affidata agli esperti del Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri.


La perizia del RIS

La svolta investigativa prende forma dopo 17 anni dall'omicidio di Serena Mollicone.

Gli esami tecnici del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma hanno chiarito che la diciottenne venne uccisa nella Caserma dei Carabinieri.

Una porta e una caldaia dell'alloggio privato del Comandante vennero poste sotto sequestro come prove.

Le forme e gli spigoli dei reperti sarebbero infatti compatibili con le lesioni della vittima, insieme ai frammenti lignei presenti sulla vistosa ferita alla testa. Il margine di errore sarebbe infinitesimale.

A metà ottobre 2018, data della notifica degli atti di chiusura dell'indagine, risultano indagati Franco, Anna e Marco Mottola (rispettivamente moglie e figlio del sottufficiale).

Sono stati in seguito aggiunti l'Appuntato Francesco Suprano, oggi in servizio presso la provincia di Rieti e un altro militare presente quel giorno in caserma.

L'Appuntato Francesco Suprano
L'Appuntato Francesco Suprano

Il passo falso degli assassini: gli elementi portati alla luce dal RIS

Un passo falso è stato sicuramente commesso dall'assassino di Serena Mollicone, di certo non autore di un delitto perfetto. Almeno fino a quando i Carabinieri del RIS non hanno deciso di analizzare, su input dell'anatomopatologa Cristina Cattaneo, il sacchetto di plastica che avvolgeva la testa della diciottenne di Arce. Quell'involucro, utilizzato dagli aggressori della studentessa per evitare sversamenti di sangue, ha "cristallizzato" per 17 anni preziose tracce. Frammenti di legno e di vernice che hanno consentito agli investigatori del Comando Provinciale dei Carabinieri di Frosinone di poter ricostruire cronologicamente quanto accaduto in quell'alloggio di servizio della caserma di Arce la mattina del 1° giugno 2001.

Un passo falso è stato sicuramente commesso dall'assassino di Serena Mollicone, di certo non autore di un delitto perfetto. Almeno fino a quando i Carabinieri del RIS non hanno deciso di analizzare, su imput dell'anatomopatologa Cristina Cattaneo, il sacchetto di plastica che avvolgeva la testa della diciottenne di Arce. Quell'involucro, utilizzato dagli aggressori della studentessa per evitare sversamenti di sangue, ha "cristallizzato" per 17 anni preziose tracce. Frammenti di legno e di vernice che hanno consentito agli investigatori del Comando Provinciale dei Carabinieri di Frosinone di poter ricostruire cronologicamente quanto accaduto in quell'alloggio di servizio della caserma di Arce la mattina del 1° giugno 2001.

1. La porta

Chi ha fatto sbattere la testa di Serena contro la porta non ha tenuto conto dei frammenti di legno e colla che sarebbero rimasti sui capelli, sul viso e sulla bocca della diciottenne. Ad individuare i microscopici elementi è stata la perizia degli esperti del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma. La relazione di oltre 500 pagine spiega che "nel violento impatto ad emergere è stato il contenuto interno della porta" composto da colla e truciolato. La stessa miscela, rinvenuta sul nastro adesivo, sui capelli e sulla bocca della giovane, è stata individuata all'interno dell'alloggio di servizio in disuso e situato al primo piano dell'edificio militare.

2. Il balcone

Dopo essere stata malmenata e stordita, la ragazza è stata molto probabilmente trascinata su un terrazzino e quindi, i capelli, il volto e il nastro adesivo che chiudeva il sacchetto in plastica, hanno "assorbito" un altro elemento chiave: i frammenti di vernice bianca e ruggine sono compatibili con il materiale repertato sul balcone e sulla caldaia sequestrati. Questo significa che Serena Mollicone non aveva ancora il sacchetto sulla testa mentre era sul terrazzo.


3. L'occultamento

A rafforzare ulteriormente la tesi che l'assassino possa aver avuto dei complici è un terzo, importante elemento: sui pantaloni e sugli anfibi indossati da Serena è stata isolata una sostanza chimica denominata "polish", utilizzata per lucidare il marmo oppure il materiale da carpenteria edilizia. Quella polvere non è stata invece rinvenuta in nessun altro oggetto o indumento indossato dalla ragazza al momento della morte. Chi ha trasportato Serena nel bosco di Fonte Cupa quindi non è un militare ma quasi certamente qualcuno che lavora per conto proprio. Magari un artigiano o un manovale...


Un depistaggio che ha portato a una falsa pista

Carmine Belli, carrozziere all'epoca 38enne di Arce, iscritto nel registro degli indagati della Procura di Cassino, ingiustamente accusato e arrestato dalla Polizia nel 2003 con l'accusa di omicidio volontario, fu riconosciuto innocente dopo tre gradi di giudizio.

A favore della tesi della sua colpevolezza, nella sua officina furono rinvenuti: un bigliettino con l'annotazione dell'appuntamento della studentessa dal dentista e del nastro adesivo compatibile con lo scotch usato per legare polsi e caviglie della vittima. Nella sua abitazione furono inoltre trovate buste di plastica ugualmente compatibili con quelle che portarono Serena alla morte per asfissia.

Per contro, tuttavia, le impronte analizzate sul nastro adesivo bianco non corrispondevano a quelle di Carmine Belli.

Lui inoltre non avrebbe mai conosciuto Serena Mollicone: l'avrebbe solo vista in foto quando tutto il paese si mobilitò per trovarla.

Il 14/01/2004 andò a giudizio in Corte d'Assise di Cassino. Dopo sette mesi di processo arrivò l'assoluzione. Assoluzione confermata il 31/01/2006 dalla Corte d'Assise d'Appello. Infine, nell'ottobre 2006 la Cassazione ribadisce la sua estraneità al delitto.

Quando la ragazza scomparve, Belli si recò presso la Caserma dei Carabinieri di Arce per segnalare di averla forse vista camminare lungo il ciglio di una strada.

"Da quel momento la mia vita si trasformò in un inferno. Entrai nella caserma sbagliata." - Carmine Belli

APPROFONDIMENTI

Analisi di un'intervista estorta a Marco Mottola

PREMESSA:

Marco Mottola è, fin da subito, uno dei tre indagati per l'omicidio di Serena Mollicone avvenuto ad Arce, in provincia di Frosinone, il primo giugno del 2001. Sono indagati per lo stesso reato, sua madre Anna e suo padre Franco, ex maresciallo dei carabinieri di Arce. Il cadavere di Serena, ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa in un bosco a pochi chilometri da Arce presentava i segni di un trauma contusivo alla tempia sinistra, aveva mani e gambe legate, nastro adesivo sulla bocca e un sacchetto di plastica sulla testa, la causa della morte: asfissia.

Segue analisi dell'intervista estortagli dalla giornalista Chiara Ingrosso

Serena Mollicone                      Marco Mottola

TRASCRIZIONE E ANALISI INTERVISTA

Giornalista: .......................Ma tu sei Marco?

Marco Mottola: ................Sì.

Giornalista: .......................Ma Marco Mottola?

Marco Mottola: ................Perché?

Giornalista: .......................Seiii il ragazzo che era coinvolto con l'omicidio di Serena?

Marco Mottola: ................Sì.

Giornalista: .......................Perché io sono una giornalista, mi chiamo Chiara, piacere di conoscerti. E come mai sei qua? Pensavano tutti che eri scomparso, sparito.

Marco Mottola: ................Non mi sono mai mosso da... (interrotto)

Marco Mottola comincia a parlare ma la giornalista lo interrompe.

G. : .........No, ma lo sai, perché lo leggevo recentemente sulla storia della perizia.

M.M. : .....Sì, sì, sì.

G. : ..........E siete rimasti solo voi indagati, dopo 16 anni, voglio dire, si stringe contro...

M.M. : .....Noo.

G. : ..........Si stringe a voi, la famiglia, insomma, tu, papà, mamma.

M.M. : .....Mah, alla fineee... noi abbiamo parlato con l'avvocato, ha detto cheee... sono tutte supposizioni. Da come la... dalla perizia si dice che ci sono dei piccoli punti che potrebbero essere... (interrotto)

L'affermazione "alla fineee" significa "nonostante tutto". Mottola, dicendo che l'avvocato gli ha riferito che sono "tutte supposizioni", lascia intendere che fosse preoccupato, poi però la giornalista lo interrompe nuovamente, questa volta proprio mentre si esprime sull'esame medico legale. Un errore madornale.

G. : ..........Nella perizia della Cristina Cattaneo c'è scritto che non si può dire con certezza che non è stato quel pugno a dare quella forma su quella porta, però la testa di Serena è compatibile al 100%. Cioè, le fratture de Serena so' quelle.

M.M. : ......A me l'avvocato mi ha detto di no.

Mottola si attiene agli atti, non dice "non è possibile che le ferite siano compatibili visto che lei la testa contro la porta non l'ha sbattuta".

G. : ..........Tuo padre, se non mi sbaglio, si è rifiutato, no? Di dire come... in che dinamica... non ho presente bene, però, in che dinamica lui l'avrebbe sferrato questo, questo pugno.

M.M.: ......No, no, no, io... (interrotto)

E' incredibile, ancora una volta la giornalista interrompe il Mottola in un momento cruciale...

G. : ........E la Cattaneo dice che la testa, è compatible al 100% con la testa di Serena.

... ed è lei a concludere. E' inutile che un giornalista incontri un indagato se lo fa semplicemente per mostrargli che ha letto alcune parti dell'istruttoria.

G. : .........Ma Serena quel giorno è venuta o non è venuta in caserma?

Marco ride e scuote la testa da destra a sinistra.

Il fatto che Marco rida e scuota la testa in segno di no non è una negazione credibile. La sua reazione è una reazione di imbarazzo: Mottola è stato messo all'angolo, è evasivo, non gli resta che sorridere per coprire un'emozione negativa e non prendere in considerazione la domanda, scuotendo la testa come per dire "che domanda mi fai?".

G. : ...........Ma tu che rapporto c'avevi con Serena?

M.M. : ......Mah, da un po' di anni nessuno, cioéééé, ci salutavamo, eravamo amici quando andavamo alle medie, i primi anni delle superiori, poi... ci eravamo divisi le comitive, lei si era fidanzata fuori paese, quindi non la vedevamo proprio, non la vedevamo pr...(interrotto)

Mottola prende le distanze da Serena a più riprese e per spostare il focus da sé si colloca in un gruppo con un "non la vedevamo pr..." per poi, purtroppo, essere nuovamente interrotto. Nella folla tentano di nascondersi i colpevoli.

G. : .............Cioè è vera 'sta cosa che Serena era convinta che tu fossi il capo dello spaccio di Arce e che quindi voleva venire a dire qualcosa in faccia?

M.M. : ........Assolutamente. Cioè io a 18 anni ero il capo degli spacciatori? Mi fumavo spinelli, andavamo a ballare, facevamo... (interrotto)

L'avverbio "Assolutamente" non è una negazione credibile. Marco Mottola, per non rispondere, risponde a una domanda con un'altra domanda: "Cioè io a 18 anni ero il capo degli spacciatori?". Una risposta evasiva.

Quando Mottola dice: "Mi fumavo spinelli, andavamo a ballare, facevamo... " ci parla delle sue abitudini dell'epoca, ma non nega di essere stato "il capo degli spacciatori". Il suo è semplicemente un modo di buttare fumo negli occhi al suo interlocutore perché non riesce a negare.

Nella frase "Mi fumavo spinelli, andavamo a ballare, facevamo...", inizialmente parla per sé poi improvvisamente e senza un evidente motivo si colloca, per la seconda volta in questa intervista, in una comitiva.

G. : ..............No, perché questo potrebbe dire allora, l'ha spinta, magari un litigio, una cosa.

M.M. : .........Quello che facevo io, lo facevano l'ottanta per cento dei ragazzi di quel paese.

Ancora una volta Marco Mottola non nega in modo credibile ma tenta di lasciar passare il messaggio che se il restante 79% dei ragazzi, che fumavano e andavano a ballare, non hanno ucciso Serena, neanche lui può averla uccisa.

G. : ..............Voi avevate richiesto chiarimenti al GIP riguardo alla vostra posizione qualche anno fa e che cosa vi è stato risposto?

M.M. : .........Eh no, adesso facciamo le ultime analisi cosìììì risulterà che vi abbiamo fatto qualsiasi tipo di controllo (interrotto)

Mottola prima risponde con un "no" e poi lascia intendere che gli inquirenti abbiano indagato sulla famiglia Mottola, non perché li ritenessero responsabili dell'omicidio di Serena, ma per mettere a tacere le voci su di loro.

G. : ............E perché papà tuo, allora, si è rifiutato di dare di... di riferire la dinamica di quel pugno su quella porta della caserma?

M.M. : .......Ma lui la riferì allora.

M.M. : .......Io ho chiestoooo: fatemi (ride) la macchina della verità, fatemi con l'ipnosi, cioè provate qualsiasi modo per provare che io sto dicendo la verità e non dico bugie, ehm DNA, impronte, fate qualsiasi cosa. E' stato fatto di tutto, analizzate le macchine di tut... cioè siamo stati noi a portarle a loro un sacco di volte eppure no, no, stavolta è finita perché abbiamo analizzato tutto quindi la storia è finita... (interrotto)

Purtroppo Mottola viene di nuovo interrotto nel bel mezzo di una tirata oratoria che poteva essere fonte di importanti informazioni.

Un buon interrogatorio sarebbe risolutivo, altro che macchina della verità e ipnosi che, tra l'altro, Marco Mottola, essendo figlio di un carabiniere, sa benissimo che in Italia non trovano applicazione.

Poiché Marco Mottola dissimula e non falsifica è capace di dire: "io sto dicendo la verità e non dico bugie"

Mottola riferisce di non aver detto bugie perché ha dissimulato e non falsificato.

Dissimulare, ovvero nascondere alcune informazioni senza dire nulla di falso, è la tecnica preferita di chi intende mentire ad esempio per coprire un proprio coinvolgimento in un omicidio. La dissimulazione è considerata meno riprovevole rispetto alla falsificazione, è un comportamento passivo che fa sentire meno in colpa del comportamento attivo di chi falsifica. Inoltre, chi dissimula può giustificarsi più facilmente di chi falsifica, può sostenere di non aver detto per dimenticanza o di aver avuto intenzione di rivelare la cosa più tardi.

Falsificare significa, invece, riferire il falso, non solo tacere un'informazione vera ma presentarne una falsa come fosse vera. Falsificare è molto impegnativo, con il passare del tempo chi falsifica si accorge che non può fermarsi alla prima bugia, ma che la stessa, per tenere in piedi l'inganno iniziale, va ripetuta all'infinito, spesso accompagnandola con superfetazioni sempre più articolate.

Il 90% dei soggetti che mentono, dissimulano, lo fanno per evitare lo stress che produce il falsificare, uno stress che è dovuto, non solo al senso di colpa, visto che anche i soggetti privi di empatia come i sociopatici dissimulano, ma spesso al fatto che mentire li espone, rendendoli vulnerabili e quindi a rischio di essere scoperti e accusati di un certo reato.

La legge prevede il reato di falsa testimonianza non solo nel caso in cui un soggetto falsifichi ma anche nel caso dissimuli. L'Art. 372 del Codice Penale parla chiaro:"Chiunque, deponendo come testimone innanzi all'Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni".

G. : ...........Però non vi hanno prosciolto.

M.M. : ......e poi (interrotto) esatto.

Ancora un'inspiegabile interruzione.

M.M. : .......Ogni volta che cambia un procuratore loro riiniziano da là.

G. : ............Questa morte di Tuzi è la cosa che ha lasciato più dubbi, no? perché uno dice, com'è che questo qua tre giorni prima diceva: "Io so qualcosa sull'omicidio di Serena Mollicone", e poi tre giorni dopo muore.


Brig. TUZI Santino

Il Brigadiere Santino Tuzi, un carabiniere che si trovava nella caserma di Arce il giorno dell'omicidio di Serena, si è ucciso sparandosi con la pistola d'ordinanza all'interno della sua auto nel 2008, poche ore dopo essere stato sentito sui fatti del 1' giugno 2001. Tuzi aveva appena riferito agli inquirenti di aver visto Serena entrare in caserma poco dopo le 11:30 e di non averla vista uscire almeno fino alla fine del suo turno di servizio, le 14:30.


M.M.: ..........Eeeeeh, cioè, per noi è stato peggio (interrotto)

G. : ............Tu hai sospetti su lui stesso? Com'era 'sto Santino Tuzi, raccontamelo.

M.M. : .......Ah (sbuffa)

G. : ............Non lo sai.

M.M. : .......No, cioè, lo so, ma non cioè (interrotto)

G. : ............Non ti va di rivangare?

M.M. : .......(incomprensibile) una persona che non è più in vita. Non mi piace parlare.

Quando Mottola dice "una persona che non è più in vita", vuol lasciar passare il messaggio che non gli piaccia parlar male di un morto mentre invece evidentemente non ha nulla da dire su Tuzi, anche perché, se avesse cose da dire sul Brigadiere, in specie inerenti l'omicidio di Serena, le avrebbe già dette milioni di volte per salvarsi.

Il fatto che dica "Non mi piace parlare" è compatibile con il suo terrore di dire cose incriminanti.

Le dichiarazioni di Marco Mottola alla giornalista su Santino Tuzi hanno giustamente irritato sua figlia Maria la quale ha dichiarato: "Mio padre era un uomo perbene e se per tutto quel tempo non ha parlato forse l'ha fatto per tutelare noi. Ma non consento a nessuno di infangare la sua memoria. Se Marco Mottola è a conoscenza di fatti riguardanti papà e inerenti l'omicidio di Serena, lo deve dire, altrimenti stia zitto. Dovrebbe raccontare la verità. E non limitarsi a far intendere cose non vere. Forse ancora e dopo sedici anni non si è reso corto che sono morte due persone e che da sedici anni due famiglie vivono con un dolore costante nel cuore e nella mente".

G. : ..........Si dice che Tuzi... la figlia di Tuzi sostiene che lui sapesse che Serena, con certezza, era entrata quel giorno lì, cioè, poteva...

M.M. : .....Sarà tutto travisato, come al solito, quindi è meglio che uno non parla.

Mottola, invece di negare o di dire semplicemente "Serena non è entrata in caserma quel giorno", dice "Sarà tutto travisato". Non "E' stato tutto travisato". Mottola usa il verbo "Sarà" per prendere le distanze da ciò che gli sta dicendo la giornalista, parla in generale, la butta in confusione ma, soprattutto, Mottola per l'ennesima volta mostra di essere incapace di negare.

Marco ha ragione quando dice "quindi è meglio che uno non parla" perché se venisse interrogato da un bravo magistrato finirebbe con il confessare.


G. : .............Vabbè, ma sei indagato, non sei imputato.

M.M. : ........Lo so ma per la gente è come se fossi imputato, parliamoci chiaro.

Con la frase "parliamoci chiaro" Mottola ci informa che finora non ha parlato chiaro.


G. : ...........E' che siete rimasti da soli, purtroppo, nel senso, non è che ci sono più altre piste, ormai il cerchio è quello, siete...

M.M. : ......No, ma è sempre stato focalizzato là.

Mottola, dicendo "là" inserisce nella risposta un luogo preciso, la domanda da fare sarebbe stata: "Là, dove?"

G. : ...........E vabbè, prima c'è stato il processo al carrozziere, però.

Carmine Belli

Il carrozziere Carmine Belli di Rocca d'Arce è stato processato per l'omicidio di Serena Mollicone e definitivamente assolto nel 2006.


M.M. : ...........All'inizio ee peròòò c'hanno messo sempre in mezzo (interrotto)

G. : ................Ma perché? Tu come te lo spieghi?

M.M. : ...........Mi devi credere, io, ancora oggi mi chiedo com'è possibile che dal nulla sia nata una voce del genere eee guarda, veramente, non riesco a spiegarmelo in nessun modo... proprio non ho parole, proprio.

La giornalista aveva già avuto una volta la prova del fatto che se il Mottola non viene interrotto è capace di perdersi in tirate oratorie, non è certo nelle sue domande bensì nelle risposte di Marco la soluzione del caso.

In quest'ultima risposta il Mottola invita la giornalista a credergli non con un"Credimi" ma con un più imperativo "Mi devi credere", se Marco dicesse la verità non avrebbe bisogno di costringere nessuno a credergli.

L'uso dell'avverbio "veramente" nella frase "veramente, non riesco a spiegarmelo in nessun modo", rende ciò che segue sensitivo.

Infine, Marco dice il vero quando afferma "proprio non ho parole, proprio", gli mancano infatti le parole per negare in modo credibile.

Marco Mottola non è mai riuscito a dire né "Serena non è stata nella caserma di Arce il primo giugno 2001""Io non ho ucciso Serena", ma ha invece lasciato spazio al dubbio. Il motivo è molto semplice.


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