
La Sindrome di Stoccolma
DEFINIZIONE
Sindrome di Stoccolma: condizione psicologica che si verifica quando la vittima di un rapimento o di un episodio di violenza sviluppa dei sentimenti positivi nei confronti del rapitore o della persona che ha compiuto la violenza, arrivando addirittura a provare dipendenza psicologica o affettiva.
ORIGINE DEL TERMINE
Il termine "Sindrome di Stoccolma" nasce nel 1973, in seguito a una rapina avvenuta in Svezia. Il 23 agosto 1973, due detenuti evasi dal carcere (Jan Eric Olsson, 32 e Clark Olofsson, 26) presero in ostaggio tre donne e un uomo, dipendenti di una banca di Stoccolma, trattenendoli nella camera di sicurezza per vari giorni. La vicenda ebbe un grande risalto mediatico. Pare che i sequestratori trattassero gli ostaggi con gentilezza e che, durante i giorni di prigionia, gli impiegati avessero il timore che la loro vita potesse essere messa in pericolo più da eventuali azioni della polizia per liberarli che dagli stessi sequestratori. Una delle vittime del sequestro, in particolare, sviluppò con uno dei malviventi un legame sentimentale che mantenne anche in seguito. Dopo essere stati rilasciati, i quattro impiegati chiesero la clemenza della legge verso i sequestratori e durante il processo, degli ostaggi testimoniarono addirittura in loro favore.
In seguito, si verificarono ancora episodi simili, spesso anche in casi di rapimenti di minori, che suscitarono lo stesso clamore. Un caso famoso fu, per esempio quello di Natascha Kampusch, ragazza sequestrata in Austria e rimasta prigioniera per 3096 giorni.
3096 giorni segregata: il caso Natascha Kampusch
Natascha Maria Kampusch (nata il 17.02.1988 a
Vienna) fu rapita da Wolfgang Přiklopil all'età di 10 anni, precisamente il 2
marzo 1998. Dopo otto anni e mezzo di segregazione, riuscì a liberarsi il 23
agosto 2006.Con i suoi 3096 giorni, il suo è il caso di
sequestro di persona più lungo della Storia recente.
IL RAPIMENTO
Successivamente alla sua liberazione, Natascha descrisse così il suo rapimento:

«Stavo camminando verso la scuola, vidi quel furgone bianco, e quell'uomo. Ebbi una paura irrazionale, ricordo la pelle d'oca. Ma mi dicevo tra me: "Niente paura, niente paura". Quante volte mi ero vergognata della mia insicurezza: avevo dieci anni, vedevo gli altri bambini più indipendenti. Ero piccola, in quell'istante mi sentii sola, minuscola, impreparata. Ebbi l'impulso di cambiare lato della strada, non lo feci. Poi i miei occhi incontrarono quelli di quell'uomo, erano azzurri, aveva i capelli lunghi, sembrava un hippy degli anni Settanta. Pensai che lui sembrava quasi più debole di me, più insicuro. Mi passò la paura. Ma proprio quando stavo per superarlo lui mi prese, mi lanciò nel furgone. Non so se gridai, se mi difesi. Non lo so, non lo ricordo.»
OTTO ANNI DI PRIGIONIA
Per i seguenti otto anni, Natascha Kampusch fu segregata in una stanza ricavata sotto il garage dell'abitazione di Přiklopil, a circa mezz'ora di strada da casa sua e dei genitori. Durante quasi un decennio visse in pochissimi metri quadri di spazio, in un bunker sigillato con una porta di legno e una di cemento, la cui entrata era nascosta dietro un armadio.
Přiklopil ridusse la ragazza a sua proprietà personale, spiandola con un sistema di interfoni e di telecamere e torturandola notte e giorno per indurla all'obbedienza con privazioni di luce e di cibo, rasandole i capelli a zero, obbligandola a stare seminuda e ammanettandola a sé durante le notti in cui la conduceva di sopra perché dormissero insieme. La ragazza, che poteva solo passare il tempo leggendo o ascoltando la radio, venne spesso picchiata e fatta oggetto di ripetuti abusi sessuali.
Per i primi sei mesi di sequestro, Wolfgang Přiklopil non le permise mai di lasciare la sua "cella" e, soltanto in seguito, le fece trascorrere dei piccoli momenti nel resto della casa, riportandola però ogni sera a dormire nel sotterraneo. Solo dopo il suo diciottesimo compleanno, le concesse di uscire di casa, ma minacciandola di ucciderla se avesse fatto alcunché per tentare di fuggire.
«Mi chiuse dietro porte pesanti, alla prigione fisica aggiunse quella psichica. Volle anche che cambiassi nome, me ne fece scegliere un altro. Divenni Bibiana, voleva che io fossi una persona nuova, solo per lui. E io iniziai a ringraziarlo per ogni piccola concessione. Mi diceva: "Per te esisto solo io, sei la mia schiava. Lui regolava la mia veglia spegnendo o accendendo la luce, decideva se privarmi del cibo o farmi mangiare, mi imponeva periodi di digiuno forzato, decideva le razioni di cibo, fissava la temperatura nella stanza. Decideva lui se avevo caldo o freddo. Mi ha tolto ogni controllo sul mio corpo, mi picchiava in continuazione. Dovevo accettare, a volte apparire sottomessa per sopravvivere, altre volte dovevo impormi e sembrare più forte di lui: non ho mai obbedito quando mi chiedeva di chiamarlo "padrone".»
2006: LA FUGA NATASCHA E IL SUICIDIO DI WOLFGANG PŘIKLOPIL
Dopo esattamente 3096 giorni di prigionia, il 23 agosto 2006 Natascha, approfittando di un momento di distrazione del suo carceriere, riesce a fuggire dal giardino attraverso il cancello aperto. Přiklopil, che inizialmente aveva tentato di rincorrerla, vistosi oramai perduto e ricercato dalla Polizia, chiede aiuto a un suo socio d'affari e si fa accompagnare alla vicina stazione ferroviaria a nord di Vienna, dove si suicida buttandosi sotto un treno in corsa.
Il risalto mediatico della vicenda di Natascha Kampusch
La sua fuga dopo la prigionia ebbe un gran seguito mediatico, e in seguito la Kampusch rivelò le sue verità in un'intervista rilasciata alla ORF. La popolarità acquisita dalla ragazza le permise di guadagnare ingenti somme di denaro in cambio di altre presenze sui media, e la creazione di una fondazione.
Nel 2008 quando, sempre in Austria, venne alla luce il caso Fritzl (in cui un padre segregò sua figlia per un ventennio nella cantina di casa propria, abusando sessualmente di lei), la storia di Natascha fu citata dai media per mettere in luce la somiglianza fra i due casi.
Nel 2010 Natascha Kampusch pubblicò il suo primo libro: "3096 Tage" (3096 giorni) in cui raccontò la storia della propria prigionia. L'opera vendette più di 1.000.000 di copie e fu tradotta in 25 lingue. Dal libro è stato tratto un film, 3096, uscito nel 2013 nelle sale cinematografiche di Austria e Germania.
2013: NUOVE DICHIARAZIONI DI NATASCHA KAMPUSCH
La ragazza dichiarò di aver avuto rapporti sessuali con il suo rapitore. Tuttavia, non volle approfondire l'argomento, come disse lei stessa durante un talk show con l'emittente tedesca ARD.
Nella sua autobiografia, la giovane austriaca aveva scritto che con il suo rapitore "non ci fu sesso": "L'uomo che mi picchiò, che mi chiuse in uno scantinato e mi fece soffrire la fame cercava carezze". Nell'omonimo film però, vengono mostrate inequivocabili scene di sesso. Alla domanda del giornalista sul consenso ai rapporti, la ragazza dice che il contenuto dei verbali dei suoi interrogatori era stato reso pubblico e quindi non lo si poteva più negare. In una deposizione dell'agosto 2006, Natascha affermava di aver dormito regolarmente con Přiklopil e di aver avuto rapporti sessuali volontari con lui.
IL RAPPORTO CON WOLFGANG PŘIKLOPIL
Il rapporto tra Natascha e il suo aguzzino è stato al centro di molte discussioni, perché sembra che si fosse creato un legame, si suppose per il fatto che in pratica lei era diventata ragazza e donna durante la prigionia. In un'intervista a "der Spiegel" la Kampusch ha dichiarato che "forse sarebbe stato meglio se Přiklopil fosse ancora in vita": almeno, ha spiegato, "sarebbe stato chiaro che la vittima sono io, adesso si pensa che sia stata io a fare qualcosa al colpevole e mi tocca sopportarlo". Natascha parla anche del fatto che in Austria si sente spesso circondata da un clima di ostilità: "Per me è una cosa molto dura da sopportare, poiché è come se venissi spinta ad emigrare all'estero oppure ad ammazzarmi".
2016: LA "LIBERTA' APPARENTE" DI NATASCHA KAMPUSCH
«A volte vengo presa da una rabbia fredda, contro la gente che continua a sparlare di me, a trattarmi da svergognata, a inventare storie sul mio passato», confessò Natascha Kampusch. Ma perché mai?, le chiese l'intervistatore di Radio Kultur. «Non mi perdonano di essere viva, di essere più forte, di non essermi suicidata».
Nel 2016 uscì il suo secondo libro: "10 Jahre Freiheit" (10 anni di libertà). Le è stato rimproverato anche di sfruttare la sua storia per guadagnare. Ma cosa potrebbe mai fare Natascha per guadagnarsi da vivere? Con poca fortuna tentò anche di moderare un talk show alla TV austriaca, e anche allora i telespettatori non hanno gradito. Nei primi giorni dopo la sua evasione fu creato un fondo a suo nome e molti inviarono del denaro per aiutarla a rifarsi una vita. «Ringrazio quanti si sono dimostrati generosi - spiegò la giovane - ma io non voglio vivere di carità».
Natascha Kampusch venne soprattutto criticata per aver deciso di voler andare a vivere nella villetta in cui fu tenuta prigioniera. Secondo gli psicologi a Vienna, è l'unico modo per superare il trauma: rivivere l´incubo, perché non si può cancellarlo.
Come risarcimento materiale, il giudice le ha assegnato i beni del defunto Wolfgang Přiklopil, e dunque anche la villetta a Strasshof. "Avresti dovuto venderla", le hanno scritto, "Si vede che ci vivevi bene, le tue sono menzogne". Cattiverie non solo da parte da gente in forma anonima.
Anche l'ex presidente della Corte Costituzionale austriaca, Adamovich, ha commentato che "in fondo negli otto anni e mezzo di prigionia, Natascha ha vissuto meglio che con i genitori divorziati". Ha tenuto un diario in quei 3096 giorni trascorsi sotto il garage in un cubo di cemento senza finestre: «Ma ne ho pubblicato alcune pagine, voglio che rimanga segreto».
Quelli trascorsi in questa tormentata libertà furono anni difficili. Subito dopo la fuga, gli specialisti la ricoverarono in una clinica, isolandola per proteggerla dalla curiosità morbosa, e dall'assalto dei giornalisti. Fu sempre lei, appena diciottenne, a trovare la forza per ribellarsi anche a quella nuova prigione, sia pure comoda e sicura, e fu allora che pretese di dare la sua prima intervista. «Non potevo continuare ad avere paura per tutta la vita», ricorda Natascha.
GLI INTERROGATIVI SENZA RISPOSTA DI QUESTO CASO CONTROVERSO
Le cattiverie, l'odio che suscita, è un segnale della cattiva coscienza della sua Austria.
Le indagini subito dopo il rapimento furono catastrofiche, non si volle credere alla testimonianza di quella ragazzina dodicenne che aveva descritto il furgoncino usato da Přiklopil per portar via la sua vittima. Si preferì perfino indagare sui genitori, sulla madre sospettata di aver venduto la figlia a un circolo di pedofili.
Qualcos'altro non torna: Franz Kröll, il commissario che guidò le indagini, si tolse la vita sei mesi dopo la fuga di Natascha, ed è poco chiaro anche il suicidio di Přiklopil che, a 44 anni, si gettò sotto un treno la prima notte dopo la fuga di Natascha. Fu forse, invece, eliminato?
Ebbe dei complici? Doveva essere quasi in povertà ma in una cassaforte custodiva una somma notevole di contanti e libretti bancari. Forse era lui a far parte di una società di pedofili.